Panificio Giuntini
La storia
Pistoia, 20 ottobre 1902.
Atto notarile di compravendita per un terreno in località Ponte alla Zoppa, lungo la via carraia che da Quarrata portava a Lucciano e da lì a San Baronto e Vinci. Ecco, il panificio risale almeno a quel giorno del 1902, lo si può desumere appunto da quel contratto di acquisto. Infatti vi si può leggere che Silvio Giuntini, fornaio, a 53 anni, quel giorno acquistò a nome della moglie, Innocenti Gioconda, il terreno dove in seguito lui e la sua famiglia costruiranno negli anni un lungo caseggiato con osteria, macelleria, generi alimentari, tabacchi, ortofrutta e due panifici.
Il contratto oltre al nome riporta anche il mestiere di Silvio e questo attesta con sicurezza che egli faceva il fornaio già prima del 1902. Avendo Silvio 53 anni in quel 1902, per i costumi del tempo si può legittimamente pensare che svolgesse questa attività almeno da una trentina di anni anche se non c’è un documento per dare una data certa all’inizio, attività che in realtà, per alcuni indizi, potrebbe essere stata iniziata addirittura dal padre di Silvio, Raffaello Giuntini. Infatti all’epoca non necessariamente un fornaio produceva anche pane in proprio, poteva anche solo gestire un forno di vicinato. Quindi, sempre da quel documento si sa che Silvio, prima del 1902, faceva sicuramente il fornaio e forse anche il panettiere, mentre negli anni successivi era sicuramente un panettiere.
Il panificio, prudenzialmente, nei suoi documenti, usa il 1902 come data certa di inizio attività e volendo, già così, con i suoi 120 anni si potrebbe iscrivere al registro delle attività storiche italiane.
La modificazione del territorio e della sua economia dovuta alla costruzione di quel caseggiato, dell’osteria e dei panifici fu tale che oggi quella località della periferia ovest di Quarrata non si chiama più Ponte alla Zoppa ma Silvione, perché Silvio Giuntini era un uomo grosso.
Dal 1902 in poi hanno lavorato nel panificio a Silvione Gioconda e Silvio, il figlio Dario con la moglie Giulia; il figlio Amedeo e la moglie Maria. Alla morte prematura di Amedeo, Maria, cosa abbastanza inusuale per l’epoca, gestì da sola il panificio finché non fu sostituita dal figlio Franco con la moglie Maria Luisa, furono loro a spostare la sede del panificio a Quarrata tra il ‘59 e il ‘60; il figlio Nicola con la moglie Antonella e oggi i figli Jonathan con la moglie Sara e Tommaso: almeno sei generazioni di Giuntini si son date il cambio lavorando al panificio!
In tutti questi anni il panificio ha visto passare due guerre mondiali, il ventennio, ha visto finire un Regno e nascere una Repubblica, ha accompagnato le grandi trasformazioni sociali trasformandosi a sua volta, è sopravvisuto alle tragedie familiari, alle crisi economiche, alla depressione del ’29, al pane a tessera, al mercato nero, al calmiere. Quante altre aziende in Italia possono vantare una simile storia?
In realtà il Panificio Giuntini è un’attività storica tradizionale di Quarrata. Il suo ricco patrimonio di storie, esperienze e passioni ogni notte viene rinfrescato con lievito, acqua e farina trasformandosi in un pane unico da assaporare dal primo all’ultimo morso. Questa è la ricchezza che il Panificio Giuntini conserva gelosamente come fosse uno scrigno di tesori accessibile a chiunque voglia aprirlo per guardare con attenzione ciò che contiene, appunto anche solo con un morso.
Panificio Giuntini: le sue tipicità
La prima tipicità è la produzione in proprio di due tipi di lievito naturale in pasta. I lieviti naturali per definizione sono prodotti unici legati nella loro composizione alla modalità di lavorazione ma soprattutto sono caratterizzati dall’ambiente dove vengono realizzati.
In azienda se ne producono due tipi, uno per il pane a lievitazione naturale e l’altro per la produzione di tutto il resto. In particolare il secondo è una pasta acida tradizionale a cui da almeno 40 anni non viene aggiunto lievito di birra che rende uniche e irripetibili le produzioni con questa ottenute sono una sorta di Giuntinipane.
Circa le produzioni caratteristiche il prodotto che davvero va per la maggiore e che si identifica con il panificio è il panaccio. Questo pane ha una modalità di produzione davvero inusuale e tipica del territorio: il panaccio Giuntini oltre a questo ha la caratteristica di essere radicalmente diverso da prodotti simili sia per la pasta acida utilizzata che per la modalità di produzione, una procedura messa a punto da Franco che si ripete immutata da almeno 60 anni. Lo si può identificare per un’alveolatura sottile e compatta e per il sapore intenso di pasta lievitata che mantiene anche dopo la cottura.
Un secondo prodotto unico è la croccantina Giuntini (carta musica). Si tratta di una produzione particolare tesa ad ottenere un prodotto molto croccante mediante una lunga lievitazione e una lavorazione specifica: il panificio è molto conosciuto per questo prodotto che arriva in tutta la Toscana e in Corsica. La croccantina è come le ciliegie: una tira l’altra! In questo caso la caratteristica croccante e friabile si unisce con il sapore leggermente salato di olio EVO.
Un’ulteriore caratteristica del panificio è l’attenzione per i prodotti della tradizione legati alla cronologia delle feste civili e religiose. Alcune produzioni come i cenci ripieni sono davvero uniche.
Prodotti usati nei piatti del menù dell’osteria:
- Panaccio pane tipico della piana a lievitazione mista, fatto con farine deboli tipo 0;
- Pane cotto a legna pane a lievitazione mista cotto a legna;
- Pane Verna pane a lievitazione mista fatto con farina di grano Toscano Verna tipo 2 macinata a pietra non deprivata del germe del Molino Angeli di Pietrasanta;
- Multicereali, pane a lievitazione mista con farina di grano tenero, semi di girasole, semi di lino, granella di soia, farina di segale crusca di grano tenero, farina d’orzo, farina di mais, estratto di malto, farina di malto di segale, farina di malto tostato di grano tenero;
- Pane alla curcuma; pane a lievitazione mista fatto con farine deboli toscane tipo 0 con l’aggiunta del 2% di curcuma;
- Pane con le noci pane a lievitazione mista con l’aggiunta del 22% di noci;
- Pane salato di semola rimacinata; pane salato (2%) di semola di grano duro rimacinata;
- Bozza semi-integrale pane con farina grano tenero integrale macinata a pietra del molino Angeli di Pietrasanta;
- Croccantina focaccia sottile croccante con sale e olio EVO;
- Schiaccino focaccia morbida con sale e olio EVO, cotta nel forno a legna con il fuoco acceso;
- Panconluva prodotto semidolce della nostra tradizione tipico delle vendemmie a base di pasta di pane e uva bianca moscato o rossa;
- Schiacciata di fichi focaccia semidolce della nostra tradizione con i fichi settembrini nostrali e noci;
- Castagnaccio prodotto dolce tipico autunnale della nostra tradizione a base di farina di castagne di Momigno e frutta secca;
- Torrone prodotto dolce del Natale e delle feste a base di chiara d’uovo e miele cotto con frutta secca tostata;
- Panforte prodotto dolce del Natale e delle feste a base di miele cotto con frutta secca e canditi;
- Cavallucci prodotto dolce invernale della nostra tradizione di origine medievale a base di zucchero cotto;
- Ricciarelli prodotto dolce invernale a base di pasta di mandorle;
- Panettone dolce natalizio per eccellenza a lievitazione naturale;
- Befanotti prodotto dolce della nostra tradizione legato all’Epifania a base di pasta frolla al latte con decorazioni colorate destinato ai bambini (di qualsiasi età);
- Panini di Sant’Antonio piccoli panini dolci disposti a mattonella da 12 (4×3) legati alla festività di Sant’Antonio Abate del 17 gennaio;
- Berlingozzo Pistoiese tradizionale dolce povero con semi di anice tipico del carnevale;
- Schiacciata fiorentina, focaccia dolce a lievitazione mista tipica del carnevale
- Cenci prodotto fritto carnevalesco per eccellenza, molto apprezzate le versioni ripiena e croccante;
- Torta Mimosa prodotto dolce di recente tradizione legato alla festa delle donne;
- Frittelle di riso prodotto fritto della nostra tradizione legato alla festività di San Giuseppe del 19 marzo;
- Scole dolci e salate prodotto pasquale dolce e salato della tradizione ;
- Colombe dolce pasquale per eccellenza a lievitazione naturale;
- Torta di mele torta tradizionale annuale;
- Torta della nonna torta tradizionale annuale;
- Crostate di marmellata torta tradizionale annuale;
- Tortini Cuore Caldo fondente cake autunnale e invernale di recente tradizione per l’osteria;
- Torta Scendiletto torta annuale della tradizione Toscana a base di pasta sfoglia e crema pasticcera.
Cassetti di ricordi
Una chiacchierata con Nonna Luisa
La sua piccola e semplice casa, proprio dietro al forno, è un raccoglitore di storia e ricordi che trasudano da ogni oggetto e cassetto. Chiacchierare con Nonna Luisa, moglie di Franco Giuntini, equivale a un vero e proprio viaggio nel passato. Un universo di nomi, racconti e eventi che hanno proseguito e costruito quella realtà che oggi è il Forno Giuntini. Schiva, solitaria, Nonna Luisa non ama molto parlare di sé, né vuole che si parli di lei, ma è infinitamente generosa nel regalare i suoi ricordi, indissolubilmente legati a quello di Franco.
Franco, racconta Nonna Luisa sfogliando un ricco mazzo di foto in bianco e nero, ha iniziato a lavorare a 7 anni per il forno che era stato del padre, morto prematuramente quando lui aveva solo 6 anni. All’ inizio vendeva i necci, poi, più grande, iniziò a portare il pane nelle case, facendo così i primi clienti. Gli piaceva molto portare il pane a domicilio, ed è stata una attività che ha proseguito fino ai primi anni sessanta, quando fu sostituito da Luigi Lunardi.
Ma la vita del forno, che aveva forzatamente ereditato e che dava di che vivere alla sua famiglia, non gli bastava. Era un uomo pieno di vita, molto attivo, energico, con una passione immensa per la musica. Dice nonna Luisa: “La musica è sempre stata il suo rimpianto più grande. Aveva imparato da autodidatta a suonare la tromba, sapeva suonare la fisarmonica e faceva parte anche della banda comunale di Quarrata”. E’ stato grazie alla musica che Franco e Luisa si sono conosciuti alla casa del popolo di Catena: “ Con i suoi amici avevano messo su un’orchestra che suonava alle feste della casa del popolo. Ci siamo incontrati così. Io avevo solo 16 anni e ho vivo il ricordo di questo giovanotto che veniva a suonare e noi ballavamo. Se non fosse stato per la sua musica, non ci saremmo mai incontrati. Figurati se io dalla Catena andavo a comprare il pane a Silvione!”
Ma il duro lavoro del panificio lo costrinse a rinunciare alla musica: mentre i suoi amici, tra cui Mario Gestri, crearono i “Corrado e i 93” (93 era la somma delle età dei cinque componenti del gruppo) e cominciarono a girare l’Europa, Franco dovette dedicarsi alle notturne richieste del suo lavoro.
“Ci sposammo il 9 ottobre del 1957. Era un mercoledì. Me lo ricordo bene perché era l’unico giorno libero della settimana in cui potevamo sposarci senza creare problemi al panificio!”. Il viaggio di nozze durò un mese, e li portò a girare Francia e Spagna. E qui nonna Luisa si alza una prima volta dalla sedia per mostrarmi una bambola ballerina di flamenco e una lama di Toledo che ancora ricordano quel lungo viaggio. “E sai con cosa partimmo? Con il furgoncino delle consegne…era l’unica macchina che avevamo! Anzi, in Francia ci toccò stare fermi tre giorni per ripararlo!”.
I viaggi. Ecco un’altra grande passione di Franco, che appena il forno glielo consentiva, partiva. “Europa, Asia, Sud America…ne ha visto di mondo! Purtroppo non andavamo quasi mai insieme, perché se uno partiva l’altro doveva necessariamente stare al forno. Non potevamo mai mancare. Ma lui ha girato. Era la sua più grande passione, oltre la musica, e io non l’ho mai fermato”.
Thailandia, Argentina, Brasile, nonna Luisa si alza di nuovo dalla sua sedia, va in camera e apre un cassetto del comò trasudante di fotografie. “Era proprio un bell’uomo Franco. Alto, grande, era una persona piacevole, di quelle che ti piace avere accanto” mi dice nonna Luisa mentre sfoglia un album di foto che ritraggono Franco, volto sorridente in un completo color cachi, circondato da una rigogliosissima foresta tropicale.
Chiedo allora a Nonna Luisa di raccontarmi il ricordo più bello che ha di suo marito. Ci pensa un po’ su silenziosa, poi apre un altro cassetto e tira fuori una sciarpa di seta porpora, leggerissima e molto elegante. Me la porge e racconta: “L’ultimo inverno di mia madre lo passai tra il forno e l’ospedale, facendo avanti e indietro tra Pistoia e Quarrata con ogni condizione climatica. Fu un anno in cui nevicò tantissimo, al forno non era un grande momento, e io risentivo molto delle precarie condizioni di salute di mia madre. Fu un momento molto duro per me. Franco ha sempre tenuto molto in cura il suo abbigliamento, soprattutto le camicie che dovevano essere sempre in ordine. Era una cosa a cui teneva tantissimo. Ma quell’inverno per me era molto difficile riuscire a gestire lavoro e casa e lui se ne rese conto. Per tutto il periodo in cui mia madre fu all’ospedale, lui iniziò, senza dirmi niente, a portare questa sciarpa, che sostituiva le camicie, o nascondeva i colli non stirati. Fu il suo modo, silenzioso, per dirmi che comprendeva il mio momento. Fu un gesto che mi commosse profondamente perché sapevo che per lui significava molto. Ecco perchè conservo ancora questa sciarpa. Era un uomo onesto e generoso, infinitamente buono. Fu questo suo carattere che lo fece apprezzare e conoscere da tutti. Dava valore alle relazioni e all’amicizia”.
Un altro momento di silenzio. Ripone la sciarpa e prende un altro album tra le mani. Comincia a sfogliarlo, silenziosa. “Questo invece è il ricordo più duro. Qui, vedi, eravamo a Montmartre, a Parigi. Si vede il mercato degli artisti. Qui era malato. Eravamo andati a Parigi per farlo curare, per cercare una cura al suo male. Ma non riuscimmo. Morì qualche mese dopo queste fotografie. Eppure, fu uno dei pochi viaggi che riuscimmo a fare insieme e io ricordo benissimo ancora oggi il dolore e la speranza di quei giorni”.
Uno degli ultimi grandi e silenziosi ricordi di una vita, quella di Franco, che ha lasciato il segno, non solo nella storia di Quarrata e del forno che ancora oggi porta il suo nome, ma soprattutto nella vita di chi con lui ha condiviso ogni momento di gioia e di difficoltà e che oggi lo ricorda, con un velo di tristezza ma con un amore grande e profondo, ancora oggi vivo e fertile.
Curiosità
La lingua italiana indica chi produce pane con due parole diverse, fornaio e panettiere. Oggi non se ne percepisce più la differenza ma questi due lemmi hanno origine perché le attività identificate con le due parole, in passato, non erano identiche. Il panettiere era ed è quello che produce il pane impastando acqua e farina per poi cuocerlo dopo opportuna lievitazione, il fornaio, come si può desumere della parola stessa, era chi si occupava del forno, ovvero in passato era una persona che metteva a disposizione il proprio forno per la cottura di pane prodotto da altri. Quella del fornaio era un’attività vera e propria che veniva pagata in natura lasciando una parte del pane cotto, pane che poi il fornaio metteva in vendita. Questa pratica era molto comune quando la gente faceva il pane in casa. Era una pratica molto diffusa, molto più di quanto si possa credere perché non tutte le case erano dotate di forno. In particolare questa pratica era anche volta a risparmiare legna da ardere e a cuocere il pane più spesso per avere un prodotto più fresco.
Infatti chi cuoceva il pane in casa lo faceva mediamente ogni decina di giorni e il pane, col passare dei giorni, diventava anche molto raffermo. Inoltre chi abitava in pianura lontano dai boschi poteva non avere molta legna a disposizione. Per questo poteva essere più conveniente cuocere presso altri, più spesso senza sprecare molta legna. Un forno caldo si porta facilmente a temperatura anche solo con delle fascine di frasca, per scaldare un forno freddo ci vuole legna o molte fascine.
Spesse volte si vedono vecchie immagini in bianco e nero di donne che portano sul capo un’asse di legno con sopra del pane cotto o da cuocere: ecco proprio quelle foto ci raccontano questa nostra storia, la storia di donne che vanno e vengono dal fornaio col loro pane.